venerdì 30 dicembre 2011

Riaprono i banchetti nel mese di GENNAIO

prossimi appuntamenti:

Giovedì 5 gennaio in Osimo, al centro, per le vie del mercato.

Venerdì 6 gennaio in Osimo, al centro, piazza Boccolino e presso la chiesa del San Carlo.

Domenica 8 gennaio in Osimo, al centro, piazza Boccolino


venerdì 16 dicembre 2011

L'Italia sono anch'io Osimo: domenica banchetto in Piazza con il lutto al braccio

Il comitato Osimano  della campagna L’Italia sono anch’io, Domenica mattina 18 dicembre sarà presente in Piazza Boccolino in OSIMO dalle ore 10 alle ore 12 per permettere  di raccogliere le firme sulle due proposte di legge di iniziativa popolare per i diritti di cittadinanza.
Il comitato osimano  esprime tutta la propria solidarietà e vicinanza alla comunità osimana di senegalesi ed esprime una ferma condanna dei drammatici episodi di razzismo avvenuti domenica scorsa a Torino e pochi giorni fa a Firenze culminati con la morte di due innocenti cittadini senegalesi.

Sabato 17 saremo in molte Parrocchie della diocesi, mentre domenica 18  dicembre saremo presenti nella piazza principale della nostra città, con il lutto al braccio, per una raccolta straordinaria di firme. Come ad Osimo in molte città italiane le  due giornata saranno dedicate alla lotta contro il razzismo e contro tutte le discriminazioni, perché simili episodi non si ripetano più.

mercoledì 14 dicembre 2011

".....Noi abbiamo figli nati qui, dove sono considerati stranieri"

Consegnate ai responsabili nazionali le prime 290 firme certificate dagli uffici elettorali dei  Comuni di Osimo e Castelfidardo

Quanto successo a Torino e ieri a Firenze deve fare riflettere. Diceva il Cardinale Martini di Milano:
“chi è orfano della casa dei diritti, difficilmente sarà figlio della casa dei doveri”.

".....Noi abbiamo figli nati qui, dove sono considerati stranieri "

venerdì 9 dicembre 2011

mercoledì 7 dicembre 2011

martedì 6 dicembre 2011

Accoglienza e cittadinanza


Da “lettere al direttore” di AVVENIRE del 2 dicembre 2011

Accoglienza e cittadinanza
Caro direttore,
quando il presidente della Repubblica ha definito 'follia' non dare la cittadinanza a tutti i bambini nati in Italia, anche se da figli di stranieri, non mi aspettavo come risposta un consenso universale. Mi aspettavo almeno l’apprezzamento unanime per un parere privato, ma espresso da un uomo pubblico di cui tutti conoscono la saggezza lungimirante. Ho visto invece un incredibile fuoco di sbarramento (non si può, è complicato, è troppo presto, ci sono cose più urgenti, ecc.) oppure un nicchiare imbarazzato. Ho giudicato improprio, ad esempio, l’accostamento della cittadinanza all’aborto. L’aborto è una piaga, un abominio, una ferita indelebile inferta alle donne, ma non si può cancellare con la firma di Napolitano su una decisione del Parlamento. Il rifiuto della cittadinanza ai bambini nati in Italia invece sì. Se proprio vogliamo tirare in ballo l’aborto, diciamo che, siccome oggi le donne che vi ricorrono maggiormente sono straniere, il rifiuto della cittadinanza ai loro figli (cioè il rifiuto di una tutela e di diritti che faciliterebbero il loro ingresso nella vita) è oggettivamente una spinta in più per la loro decisione di morte. Ma al di là di questo argomento, c’è un obbligo giuridico internazionale che dobbiamo onorare. Nella Convenzione sui diritti all’infanzia del 1989, ratificata dall’Italia il 22 maggio 1991, all’articolo 7 si legge tra l’altro che «il fanciullo è registrato immediatamente al momento della nascita» e da allora «ha diritto a un nome» e «ad acquisire la cittadinanza». La cittadinanza, è vero, potrebbe essere quella del Paese di origine dei genitori, ma – sempre secondo lo stesso articolo 7 – l’Italia dovrebbe 'vigilare' perché ciò avvenga; in caso contrario, dice la Convenzione con tono sanzionatorio, «il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide». Visto e considerato, quella della cittadinanza alla nascita è ancora la strada più semplice, la più umana, la più cristiana, la più vantaggiosa sia per il bambino nostro prossimo che per un’Italia in crisi demografica. Mali come pregiudizi, grettezze, miopie etnico-politiche? Solo con prese di posizione limpide e coraggiose possiamo pensare di sconfiggerli. don Sandro Lagomarsini

Caro direttore,
seguo con interesse la discussione sulla concessione della cittadinanza italiana. Posso raccontare una esperienza mia e di mia moglie. Nel 1991 aiutammo (come Centro di aiuto alla vita) una coppia di immigrati dall’Asia che attendeva il primo figlio, nato poco dopo nella nostra città. I genitori, cristiani, ci proposero di esserne i padrini di battesimo. Nell’anno 2009 il figlioccio compì il 18° anno ed esercitò il diritto di diventare cittadino italiano. Ora, dopo la maturità classica, studia alla Alma Mater di Bologna, con profitto e una borsa di studio. Nel 1996 la coppia ebbe una figlia e nel 2002 un secondo maschio. Il padre, dopo più di dieci anni di regolare residenza in Italia, ha chiesto e ottenuto la cittadinanza italiana.
Ora anche i due figli minori sono cittadini italiani. Ergo: non comprendo cosa si debba cambiare nella nostra legge, visto che funziona bene (a parte la lentezza burocratica, che non dipende dalla legge di cittadinanza, ma da altre cause ben note). Semmai, potrebbe esserci il problema degli irregolari e dei clandestini o di immigrati regolari che, anche dopo dieci anni di residenza, non riescono a ottenere la cittadinanza perché non possono dimostrare di essere nelle condizioni stabilite dalla legge. Si potrebbe, perciò, intervenire per modificare alcune di queste condizioni, senza però indulgere su problemi di sicurezza e di regolarità fiscale e previdenziale. Infine non ci pare che sia opportuno incidere così radicalmente sulla legge, introducendo il jus soli (come negli Usa, che hanno un passato ben diverso dal nostro) senza un preventivo concerto europeo, dal momento che, assieme alla cittadinanza di uno Stato membro della Ue, si acquista automaticamente anche la cittadinanza europea (a 27 Stati). Attilio Sangiani
  

Ancora saggi e civilissimi "diversi pareri" su una questione seria come quella della via migliore per integrare, anche con la piena cittadinanza, coloro che erano stranieri e sono venuti a lavorare e vivere con noi italiani. L’esperienza di un sacerdote come don Lagomarsini e di un giurista come il dottor Sangiani dimostrano, a mio parere, che leggi e regole servono, ma più di tutto serve una grande umanità in chi le applica e in chi vigila sul rispetto dei princìpi che le ispirano. Per quanto mi riguarda, continuo a pensare che la cultura dell’accoglienza e del rispetto per ogni vita o sono veri e, dunque, tutti interi o non sono. Quando dico questo, ovviamente, so bene che nella realtà si può essere giusti e amorevoli con i propri figli e, purtroppo, profondamente ingiusti e ostili con lo straniero o, viceversa, essere capaci di slanci verso chi viene da lontano e incapaci di riconoscere l’intangibilità della vita che viene da noi stessi. Voglio solo dire che dobbiamo imparare a non sminuzzare i grandi valori che danno senso – cioè profondità e direzione – al nostro cammino, alle nostre relazioni e alle nostre scelte. Constato, insomma, che solo una società che sa considerare intangibili il valore e la dignità della vita umana – dal suo primo inizio alla fine naturale e per tutto il suo corso – riesce ad accogliere e non fa 'selezioni' casuali e burocratiche o tristemente (e persino cinicamente) mirate a un qualche interesse.
------  ------  -------  ------  ----- ----- ----- ----- ----
Il comitato cittadino “L’Italia sono anchio”.

Cerchiamo volontari per la raccolta di firme da effettuare davanti ai supermercati  e nelle piazze delle nostre città
Chi è interessato può contattare la Caritas Diocesana di Osimo (don Flavio)
o può inviarci una mail all'indirizzo: osimo.litaliasonoanchio@gmail.om

lunedì 5 dicembre 2011

Buona raccolta, questa mattina a Castelfidardo

Raccolte questa mattina a CASTELFIDARDO tra le vie del mercato, più di 100 firme
Vi ricordo che a Castelfidardo, prosegue la raccolta firme presso la casa  Comunale, ufficio elettorale durante gli orari di apertura al pubblico.
Il comitato cittadino “L’Italia sono anchio”.

Cerchiamo volontari per la raccolta di firme da effettuare davanti ai supermercati  e nelle piazze delle nostre città
Chi è interessato può contattare la Caritas Diocesana di Osimo (don Flavio)
o può inviarci una mail all'indirizzo: osimo.litaliasonoanchio@gmail.om

sabato 3 dicembre 2011

L’accoglienza o è intera o non è


Da “lettere al direttore” di AVVENIRE del 24 novembre 2011
L’accoglienza o è intera o non è
Caro direttore,
per una vita sono stato istintivamente contro i comunisti e quando ho sentito dire una cosa giusta (per me) dal presidente Napolitano, ho pensato, con la malizia dell’età, che fosse facile, sedendo sulla prima poltrona del Paese. Ma con poche delusioni (decreto per salvare Eluana, per esempio), ho dovuto ricredermi. E, quando il Tonino nazionale l’offendeva un giorno sì e un altro pure, mi chiedevo dove fosse la magistratura. In quest’ultimo anno ho apprezzato moltissimo, con un massimo quando ha trovato il modo (fulmineo) di risolvere il problema che ci aveva portato sull’orlo dell’abisso. Ma oggi è stata una doccia fredda quando ho sentito del discorso sulla cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia: «Negarla è un’autentica follia, un’assurdità». O bella: non m’ero ancora accorto di essere un folle! Certo, si può sbagliare per una vita, un secolo, un millennio ed è giusto correggere l’errore trasmesso di generazione in generazione, ma pensiamoci bene. Da qui a Natale (come vorrebbe qualche ben pensante) passa un mese, solo un mese, cioè un attimo: con tanti problemi veri e importanti, vogliamo abbattere un sistema millenario solo in un mese? Pensiamoci, ma seriamente, non ubriacati da ideologie o, peggio, pensando alle elezioni prossime venture, come usano i politicanti nostrani e una intellighentia religiosamente autoreferenziale. Oltretutto sono solo due sistemi, ambedue buoni, ch’io sappia. E non c’è da correggere nulla, solo di passare dall’uno all’altro: o jus sanguinis o jus soli.
Mario Grosso, Gallarate (Va)

Caro direttore, condivido pienamente l’auspicio del presidente della Repubblica affinché i bimbi figli di stranieri nati in Italia abbiano la cittadinanza italiana. Ma ancora più pressante è il grido silenzioso dei cinque milioni di bimbi ai quali è stato negato addirittura di nascere grazie alla iniqua legge 194 (così la definirono i vescovi all’indomani della sua promulgazione). Noi cattolici siamo prudenti e peritosi: non è il momento di parlare di queste cose, c’è la crisi. Ma altri non ha scrupolo a porre sul tappeto altri (sia pur giusti) problemi. Vincenzo Placella, Napoli

Caro direttore, noto con grande piacere che il presidente Napolitano è intervenuto sul tema della cittadinanza ai figli nati in Italia dagli stranieri che lavorano qui. Ho sempre sostenuto che i figli di quanti giungono da noi debbano essere considerati italiani a tutti gli effetti: per fortuna ora la voce giunge dalla massima autorità dello Stato! Penso inoltre che sia doveroso per le istituzioni rivedere le norme sulla cittadinanza. Molti amici stranieri mi hanno recentemente riferito che per loro poter votare sarebbe il miglior modo di dire un bel “grazie” all’Italia. Altra cosa su cui bisogna riflettere è il riconoscimento dei titoli di studio e universitari: come sappiamo, il nostro Paese non riconosce i titoli di molti Stati. La conseguenza di ciò è che molti lavoratori stranieri, pur avendo titoli elevati, devono comunque adattarsi a lavori umili che non corrispondono alle tante fatiche fatte. Potrei citare il caso di una persona filippina laureata nel suo Paese in Economia e Commercio che però in Italia si deve accontentare di fare la domestica. Spero quindi che vengano finalmente riconosciuti a tutti gli stranieri i loro diritti. Giorgio, Genova

Caro direttore, penso che il presidente della Repubblica parlando di “follia” riguardo a chi non la pensa come lui in materia di cittadinanza agli immigrati nati su suolo italico abbia veramente esagerato. Non siamo in una democrazia presidenziale, e l’immigrazione è un tema estremamente complesso e delicato sul quale non è saggio farsi guidare dalle emozioni “politicamente corrette”. La solidarietà è un conto (e ci sono mezzi più efficaci per metterla in campo), l’ingenuità tutt’altra cosa. Non ci vuole molto a capire che se una riforma del genere fosse approvata, l’Italia diventerebbe il rifugio di una folta schiera di disperati con mogli incinte al seguito (magari più d’una per lo stesso marito), tutti speranzosi che ottenendo la cittadinanza per il proprio neonato, nessuno potrebbe più allontanare dall’Italia i suoi genitori, che quindi dovrebbero essere forniti di permesso di soggiorno. È anche prevedibile che avremmo problemi da parte dell’Unione Europea, o quanto meno di molti Paesi membri. Basta ricordare cosa è successo per poche migliaia di profughi tunisini ansiosi di raggiungere Francia e Belgio: sospensione della libera circolazione delle persone. Mi chiedo come i nostri politici possano essere così balzani da partorire certe idee... ma l’emergenza dell’economia e la crisi finanziaria che fine hanno fatto? Comincio a sentire puzza di bruciato...Mauro Z.

Sull’immigrazione e sul modo di governarla secondo chiare e umane logiche – logiche, non pregiudizi di diversa natura – ci sono opinioni diverse, anche molto diverse. Le lettere che pubblico qui accanto lo dimostrano con toni civili e utili. Vorrei che il dibattito politico fosse altrettanto serio. Personalmente, condivido l’approccio del professor Placella. I concetti di “accoglienza”, “integrazione” e di riconoscimento dei piccoli e deboli sono esigenti: o si lavora per accoglierli tutti interi, per accogliere l’insopprimibile dignità di ogni vita umana, o la nostra umanità è fatta comunque a pezzi. Per preparare davvero il futuro ci è chiesto, quasi imposto, e proprio dal tempo di crisi e di confusione che viviamo, di mantenere e recuperare questa essenziale e vitale consapevolezza che può e deve accomunare chi crede e chi non crede: o l’accoglienza è tutta intera o non è.

------  ------  -------  ------  ----- ----- ----- ----- ----
Il comitato cittadino “L’Italia sono anchio”.

Cerchiamo volontari per la raccolta di firme da effettuare davanti ai supermercati  e nelle piazze delle nostre città
Chi è interessato può contattare la Caritas Diocesana di Osimo (don Flavio)
o può inviarci una mail all'indirizzo: osimo.litaliasonoanchio@gmail.om

giovedì 1 dicembre 2011

Cittadinanza ai figli di immigrati: cosa dice la Costituzione

Nella sua ormai frequente opera di esternazione, il Presidente della Repubblica è recentemente intervenuto sul tema delle modalità di acquisto della cittadinanza, in particolare con riguardo ai figli degli immigrati che vivono in Italia. E lo ha fatto usando parole particolarmente forti, laddove egli ha posto l’accento «su quella che è un’autentica, non so se definirla follia o assurdità, cioè quella dei bambini di immigrati nati in Italia che non diventano cittadini italiani». Ove «follia» lascia intendere che si tratti di una soluzione sbagliata e del tutto inopportuna, mentre il termine «assurdità» rivela un giudizio relativo alla stessa utilità che un siffatto riconoscimento avrebbe per i «nostri» interessi di italiani, sia sul versante sociale che su quello più propriamente economico. Dimensione, quest’ultima, esplicitata nelle parole del Presidente: l’aspirazione di tali giovani «dovrebbe corrispondere anche a una visione nostra, nazionale, volta ad acquisire delle giovani nuove energie ad una società abbastanza largamente invecchiata (se non sclerotizzata)».
Alcuni esponenti della Lega nord  hanno accusato il Capo dello Stato di muoversi «al limite della costituzionalità» (Castelli) ovvero di operare «uno stravolgimento dei principi contenuti nella Costituzione» (l’appena decaduto Ministro dell’’nterno Roberto Maroni). Quali sarebbero dunque le violazioni della Costituzione di una siffatta proposta? Quali articoli della Costituzione impedirebbero l’allargamento o il cambiamento dei criteri di acquisto della cittadinanza?
Purtroppo non è facile risalire alle fonti del pensiero (costituzionale) leghista in materia, perché l’unico articolo della Costituzione che parla di cittadinanza è il 22, ed in esso è stabilito soltanto che «Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome». Dunque si fa riferimento alla sola perdita della cittadinanza (per indicare, oltretutto, soltanto che essa non possa dipendere da motivi politici), ma non all’acquisto: i criteri per acquisire la cittadinanza sono pienamente nella discrezionalità del legislatore ordinario, perché la Costituzione non ha stabilito alcun limite alla libertà del Parlamento in tal senso. Di altri limiti, in Costituzione, non vi sono tracce.
Nella sua discrezionalità, il legislatore italiano, nel 1992, ha stabilito un criterio preferenziale generale: lo ius sanguinis (per cui la cittadinanza si acquista per discendenza da cittadini italiani), lasciando ad altri criteri (lo ius soli, la naturalizzazione, l’acquisto per meriti, ecc.) un ruolo marginale e limitato a particolari circostanze.
Tale criterio generale è coerente ad una situazione di Paese con limitati flussi immigratori e magari con significativi flussi migratori verso l’esterno: ove la cittadinanza è riconosciuta dunque anche a chi nasce e risiede all’estero, ma da genitori o avi italiani. Lo scopo di tale criterio tende a garantire una più stretta connessione tra l’appartenenza al «popolo» (inteso appunto come l’insieme di coloro che hanno la cittadinanza) e l’appartenenza alla «nazione» (intesa come insieme di elementi identitari dati dalla comune lingua, dalle tradizioni comuni, dalla cultura, ecc.): si preferisce dunque riconoscere come cittadini anche coloro che sono "italiani" pur non vivendo in Italia.
L’altro criterio possibile, quello dello ius soli, è invece adottato nei Paesi con più forti tradizioni di immigrazione (Stati uniti, stati sudamericani, Australia, ecc.), e fa dipendere l’acquisto della cittadinanza dal fatto di nascere sul territorio di quello stato, indipendentemente dalle appartenenza identitarie. Esso mira, evidentemente, ad una maggiore integrazione delle persone immigrate, ma anche ad un loro pieno coinvolgimento nella vita e nelle attività dello Stato.
Se dunque tra questi due modelli l’Italia, nel 1992, ha scelto il primo, oggi, a distanza di vent’anni e con un significativo cambiamento nel tessuto sociale,  pare opportuno porre il tema di quale modello utilizzare per il futuro: e la scelta tra l’uno e l’altro, occorre ribadire, non è di tipo costituzionale, ma riservata al legislatore ordinario. Il quale, come detto, può fare quello che ritiene più opportuno e più rispondente alle esigenze sociali presenti e future, senza che tale scelta sia condizionata dalla Costituzione: tanto è vero che anche nella legge vigente vi sono disposizioni che riconoscono lo status civitatis a chi non ha discendenti italiani, e mai si è posto un problema di costituzionalità al loro riguardo. In tal senso, o meglio anche in tal senso, la nostra Costituzione dimostra di comprendere che la società italiana poteva cambiare nel corso degli anni, e che quindi ha lasciato al legislatore la possibilità di adeguare i criteri di acquisto della cittadinanza alle mutate esigenze sociali. Il Parlamento si assuma dunque le sue responsabilità, rese ancor più palesi dall’intervento del Capo dello Stato.